Cultura

Giugliano che in’canta’. L’Intervista di Filippo Di Nardo a Anna Pirozzi

Le sensazioni e le emozioni di una grande artista di casa nostra
ANNA PIROZZI: LA GIUGLIANO CHE (IN)CANTA
Intervista al soprano che sta entusiasmando il mondo dell’Opera

Eugenio Pragliola, in arte Cucciariello, nella sua (ma poi “presa” da altri) celebre
Trapenarella, ribadiva come:”…’e meglie cantante stanno a Giugliano”.
Quale migliore occasione per rendere omaggio ad una grande interprete che,
giuglianese purosangue, ci ha musicalmente sradicati da un torpore nervino che ha
distrutto ogni velleità da parte di chi avendo della capacità artistiche si vede
mortificato in ogni tentativo?

Eppure questa Terra ha dato natali ad illustri e stimati concittadini che a distanza di
anni sono soggetto di studio, da parte des etrangers, ma di oblio da parte nostra.
Ma è d’obbligo occuparci di una extraordinaire artista qual è Anna Pirozzi.
Di lei hanno già scritto in molti e tutti hanno confermato, soprattutto gli addetti ai
lavori, le indubbie qualità ed hanno sottolineato il radioso futuro che l’attende, oltre
la splendida realtà che già sta vivendo.

Chi volesse saperne di più può dare un sguardo esplicativo al suo sito:
www.annapirozzi.com e rendersi conto di quale sia lo spessore artistico ed il percorso
umano che l’ha portata a calcare i più grandi templi della Musica, e specialmente
della versatilità, qualità rara, che la contraddistingue.

Entro in contatto con il Soprano che di buon grado, e nonostante i molteplici contratti
che la vedono impegnata in ogni angolo del Globo, mi concede quest’escursione
giornalistica, che ci consentirà di conoscerla più a fondo, e soprattutto vuole essere un
sentito omaggio a colei che, fiera delle sue origini, ha portato sui palcoscenici di
mezzo mondo la voglia di riscatto, ed il non arrendendosi alle prime difficoltà che
sicuramente avrà trovato sul suo percorso artistico.

Ecco di seguito la chiacchierata .

Lei che nasce in questa città, Giugliano, e ne rappresenta, ai massimi vertici,
l’espressione musicale, sicuramente avrà cantato da ragazza le melodie nostrane.
Quando, però, scopre che la musicalità innata l’avrebbe portata ad altri più
prestigiosi ed esigenti palcoscenici?

Quando scopro la mia musicalità? Diciamo che io ho sempre cantato; da piccola dove
guardavo tutte le Edizioni di Sanremo o mi scrivevo i testi, li imparavo, li ricantavo e
poi li cantavo alla mia famiglia: insomma ero portata per il canto, cantavo sempre.
Poi ad una certa età ho iniziato a cantare musica Pop, cantavo nei ristoranti ai
matrimoni ecce cc. E poi è arrivato questo scatto di iscrivermi al Conservatorio per
imparare il canto lirico di cui non avevo nessuna idea; anzi, quasi non mi piaceva

perché per me c’era solo la musica leggera. Però mi iscrissi e appunto dovetti fare
l’esame di ammissione; l’unica canzone un po’ impostata era l’Ave Maria che
cantavo ai matrimoni, l’Ave Maria di Schubert. E quindi il maestro di allora mi disse:
“Ma lei ha già cantato lirica?”. “No”, risposi e lui mi disse: “Beh, lei ha una voce
portata naturalmente al canto lirico”… E così da lì iniziò il mio percorso di studi, e
quando capii che avrei potuto vivere di questa professione, che è una passione vera e
propria? Quando, qualsiasi persona mi ascoltasse provava forti emozioni, questo mi
faceva capire che dovevo continuare a regalare la mia voce al pubblico e quindi mi
sono impegnata con tutta me stessa per farla diventare poi una professione.

Lei, poi, frequenta il Regio Conservatorio Giuseppe Verdi, di Torino,
un’istituzione di alta scuola artistica che registra, subito dopo la guerra, la
presenza di Direttori quali Wilhelm Furtwängler; cantanti come Elizabeth
Schwartzkopf e Dietrich Fischer-Dieskau. Quali gli insegnamenti che riceve dal
Soprano Silvana Moyso prima, e poi frequentando il Masterclass con l’immensa
Mirella Freni, Daniela Dessì, la bastigliese Sylvie Valayre, Luciana D’Intino e
dal Tenore di Plattsburgh Rockwell Blake?

Sì, prima ho frequentato per quattro anni l’Istituto musicale di Aosta, e poi due anni
di perfezionamento al Conservatorio di Torino con la Signora Moiso, appunto, e con
lei sicuramente ho imparato la musicalità, il fraseggio, il cantare Verdi con lei:
ricordo che il mio primo ruolo fu Leonora del Trovatore, che studiammo molto
approfonditamente. E poi invece tutti i master class numerosi che ho fatto con i
grandi cantanti come la compianta Mirella Freni, Daniela Dessì, anche lei, e tanti altri
come Luciano Dentino che ho frequentato di più; da ognuno di loro prendevo ciò che
era buono e giusto per la mia voce, altre cose le scartavo e altre le facevo mie; quindi
mi sono fatta un mio bagaglio tecnico-vocale musicale, che ancora oggi porto nel mio
canto.

La napoletanità, intesa come propensione al canto, l’è stata di aiuto?

La napoletanità sicuramente mi ha aiutato nell’essere più estroversa, più espansiva e
sicuramente anche passionale; e questa naturalezza, appunto, nel canto, sono sicura
che viene dal mio sangue, dalla mia regione, dal mio Paese che amo tanto e che porto
sempre con me ogni volta che canto qualsiasi cosa, da Verdi alle canzoni napoletane,
e ne vado fiera e lo dirò sempre: felice di essere napoletana.
Una dote congenita la sua che, come lei stessa ha dichiarato, ha però bisogno di
studio e dedizione. Si reca nella Capitale del Valzer, al Konservatorium.

Che ricordi ha di quel periodo?

Dunque a Vienna, dopo questo percorso di quattro anni di studio ad Aosta sono
proprio scappata, come a voler trovare l’insegnante della vita insomma e di poter
iniziare già a cantare, proprio tanta voglia di cantare, e anche di imparare cose nuove
e in altri posti diversi, di lingua e tutto… E quindi andai tre mesi da sola e conobbi
una nuova realtà musicale, vocale anche perché magari erano altre scuole anche se io
ritengo che la tecnica del canto lirico è una sola; però tutto fa esperienza anche quel
periodo mi servì molto, presi delle cose buone per me, altre le scartai, ma poi tornai
in Italia, con tanta altra voglia di conoscere e di migliorarmi.

Nel 2013 si afferma nella Trentesima edizione del concorso di canto “Mattia
Battistini”. Possiamo dire che è stata la sua prima grande affermazione?

La mia vittoria nel concorso Battistini 2013? No, forse era un po’ prima del 2013,
controllerò. Sì, è stata la mia prima grande vittoria, il mio primo grande traguardo,
dopo un periodo fatto di studi; feci tanti concorsi, devo dire la verità, tante audizioni,
ma andavano tutte male, tutti che mi dicevano “Sì sì, ha una bellissima voce, ma,
ma”; invece al Concorso Battistini vinsi il Primo Premio Assoluto e il ruolo di
Leonora per il Trovatore, che poi non feci in quell’occasione ma comunque in quel
Concorso si portavano le arie del ruolo e quindi io vinsi questo Premio che mi aiutò
poi ad entrare in questo mondo lavorativo.

La svolta nella sua vita artistica avviene allorché Ricardo Muti la chiama. Ecco:
quali pensieri le sono balenati, in quel preciso istante, nella mente e nel cuore?

Dunque: Muti arrivò in un momento in cui la mia carriera stava veramente prendendo
una buonissima piega; quindi iniziavo a intessere successi e quindi Muti arrivò così
all’improvviso con una telefonata, mi chiesero se ero disponibile di sostituire una
collega a Salisburgo con Muti, per fortuna accettai senza neanche pensarci perché il
ruolo era un ruolo che io sentivo mio, sento ancora mio, il mio cavallo di battaglia, lo
avevo già cantato tante, tante volte e quindi accettai senza nessun pensiero negativo;
anzi con tanta gioia tanta grinta, pronta a conoscere anche il grande Maestro Muti che
ringrazio per quella bella occasione che mi diede, e che fu un grande successo, e da lì
la mia carriera ancora migliorò, fino ad ora la porto sempre nella mente e nel cuore.
Non è trascorso tanto tempo da quando il M° Muti, in un discorso alla Camera,
affermò: “Se insegniamo Musica ai bambini avremo una società migliore”. Poi
tuonò: “Non siamo questuanti con la mano tesa, la Musica non è intrattenimento”.

Vuole aggiungere una sua riflessione a questo grido di dolore?

Sì, sicuramente la musica va insegnata ai bambini già dalle elementari o anche prima
se si può; però, siccome vedo il mio esempio concreto, vale a dire che io fino ai 25

anni che iniziai al Conservatorio non conoscevo la Lirica, non conoscevo l’Opera e
quando la conobbi me ne innamorai (un autentico colpo di fulmine) e pertanto mi
chiesi: “Che cosa mi sono persa in tutti questi anni?”; avrei potuto già goderne prima
di questa arte stupenda che è l’Opera, che è italiana, e quindi prego anch’io tutte le
scuole, e anche per i miei figli che è ovvio in casa vivono l’Opera da quando sono
nati anzi dal mio ventre, di introdurre sia l’insegnamento della musica che la
conoscenza di questa grande arte che è L’Opera.

Un’altra sferzata è arrivata poco tempo dopo. La sua orchestra giovanile, Luigi
Cherubini, è fiore all’occhiello di uno Stivale sordo al richiamo dei talenti,
almeno per quanto concerne questo settore. “La scuola, la politica facciano
qualcosa per evitare che questo Paese viva soltanto di ricordi”. Quanto è difficile,
oggi, essere Il Soprano?

Dunque, oggi come oggi, sappiamo che la situazione dei teatri più che altro quelli
italiani è molto difficile, molto dura e purtroppo i tagli finanziari hanno indotto alcuni
teatri e molte orchestre a chiudere i battenti e quindi a non poter più regalare al
pubblico quest’arte, appunto, l’Opera, ma anche la musica classica, la sinfonica e
quindi questo: perché? Non vorrei entrare troppo nel merito, che non mi compete,
però c’è poca riconoscenza in quest’arte che è molto importante e fa parte delle
nostre radici, non dobbiamo lasciarla morire, e coltivarla; quindi prego le istituzioni,
la politica, chi deve, chi deve sì, chi è a capo di sovvenzionare i teatri italiani: anche a
me piacerebbe cantare solo in Italia e qualche volta andare all’Estero perché amo
L’Italia, amo il mio Paese, la mia lingua, la lingua dell’Opera e quindi vorrei cantare
di più in Italia; ma, ahimè, questo non è possibile e quindi spesso mi trovo ad essere
fuori casa, all’estero e lontano dalla mia famiglia, lontano dal mio Paese: quindi spero
che questa situazione migliori per poter tornare ai Teatri italiani più belli del Mondo.

Il Pianista Nazzareno Carusi, apprendendo che per Expo 2015 il Teatro Alla
Scala di Milano verrà asservito ad un’orchestra venezuelana –la Simon Bolivar-
e relative Juvenil ed Infantil, ha lamentato “questa è follia artistica prima che
una stupidaggine politica”, che non permetterà ai nostri giovani di esprimersi e
di conseguenza valorizzarsi. Come vede, Anna Pirozzi, il futuro di quanti si
accostano ad una tradizione che il Pianeta ci invidia ma che saranno, con questa
miope lungimiranza, costretti ad emigrare per veder riconosciuto il proprio
talento?

Come ho detto prima: questa tradizione va nutrita, va coltivata e quindi non
lasciamola morire e diamo una possibilità ai giovani, giovani talenti e giovani anche
volenterosi che l’amano; io vedo oggi tanto pubblico giovane all’Opera che ama

l’Opera, che ama la musica classica, che vuole studiare, e mi chiedono consigli su
come fare, come non fare; quindi aiutiamo la gioventù, il futuro dell’Opera della
Musica in Italia e anche all’estero, ovunque, perché quest’arte non morirà mai, mai e
poi mai… Cerchiamo di non far andare via questi ragazzi giovani dal nostro Paese
per studiare, perché le scuole buone ci sono in Italia di musica, di canto, di strumenti
musicali per tutto l’Italia è Patria di grandi maestri, di grande scuola e perciò
aiutiamo i giovani a non andare via dal nostro paese dall’Italia e studiare accanto alle
proprie famiglie così si è anche più invogliati e quando si è lontani da casa subentra
la tristezza, la malinconia del proprio Paese, la propria famiglia, e quindi magari
vengono meno gli studi, se si studia nel proprio paese, sicuramente verranno dei
talenti e dei musicisti, grandi musicisti affermati.

In diverse circostanze si è notato come sia stato consentito l’accesso nei Teatri ad
un pubblico vestito casual pur di far affluire quanta più gente possibile. A mio
modesto avviso, in contraltare ai superbi abiti di scena ed alle sfolgoranti
coreografie, questa permissività rappresenta una sorta di “sacrilegio”: vuoi per
il rispetto verso gli interpreti, che nei confronti della “sacralità” della Musica.
Cosa ne pensa Lei al riguardo?

Dunque: per me l’accesso ai teatri sicuramente deve avvenire in modo più semplice,
meno serioso, con meno cliché; però dall’altro lato neanche proprio lasciarsi andare
perché comunque è un luogo dove si fa, e come c’è scritto sui libri di Musica,
“Musica Colta”; quindi è un luogo colto dove, insomma, bisognerebbe avere un certo
portamento e quindi avere un abbigliamento consono non dico a grandi feste, ma
sicuramente anche, sì forse non per rispetto degli artisti, ma proprio per il luogo, ecco
però neanche troppo esagerato dall’altro lato, magari si potrebbe dividere ad esempio,
chi sta in Platea deve avere un certo abbigliamento, chi invece nei loggioni, nei piani,
può avere un altro, non so però trovare una via di mezzo ma non esagerare dall’altro
lato, è comunque un teatro, ed è bello proprio andarci, prepararci, io ancora adesso
quando vado a Teatro, mi emoziono perché c’è tutta una preparazione psicologica,
all’ascolto e al vivere le emozioni dell’opera dal vivo, musica dal vivo, quindi anche
nell’abbigliamento, è bello fa parte anche questo dell’Opera, quindi teniamo le nostre
tradizioni, di anche se una volta in teatro si faceva di tutto e di più, si mangiava, si
fumava, si chiacchierava, però insomma è sempre un luogo da rispettare. Ecco!

Lei, che si è esibita in numerosi Teatri, mi dica: esiste sempre la “paura” del
loggionista il quale, incarnando il Melomane per antonomasia, è pur sempre lui,
aldilà delle critiche specializzate, che decreta il successo o meno di un/a
interprete, o dell’Opera nella sua globalità; o sono passati i tempi di questi
esperti ed intenditori sempre in agguato a conclamare o a distruggere carriere?

Per quanto riguarda i loggionisti, io ho con loro un rapporto particolare, sono sia
amata che odiata diciamo, non proprio nel vero senso della parola, però ho ricevuto
sia consensi che dissensi e certo lì per lì fa male ricevere un “Buh” però se si è
coscienti di aver fatto bene e che il resto del pubblico, sono più forti gli applausi che
quei due o tre “Buh”, quattro o cinque “Buh”, questo poi ti fa riflettere, ti fa capire
che si va avanti lo stesso, che fa parte del gioco, che bisogna accettare anche questo e
quindi, quindi si va avanti: certo una volta era più forte questa cosa dei loggionisti
perché appunto potevano distruggere, distruggevano carriere di anni interi di un
grande cantante, questo adesso è un po’ meno, meglio così, perché noi cantanti ci
mettiamo tutto noi stessi, preparati, cioè prepariamo un ruolo mesi e mesi prima,
studiamo, andiamo lì facciamo un mese di prove e tutto si concentra in due o tre di
spettacolo e c’è tanta emozione, c’è tante cose, che magari il pubblico a volte non
capisce e vuole subito un prodotto eccezionale, ma devono capire che siamo esseri
umani, che il nostro strumento è il canto, canto la voce dell’anima che è dentro di noi,
quindi non possiamo comandare come vogliamo, ma va anche in base molto alle
emozioni, sì certo la tecnica, ma c’è tanta emozione, quindi spero che il pubblico
diventi più mansueto nei nostri confronti. Ecco!

Ha coronato il suo sogno, e vale a dire esibirsi al San Carlo. Secondo Lei il
pubblico è uguale in ogni angolo del mondo, oppure ci sono templi che incutono
un timore reverenziale o che affascinano in modo particolare?

Sì. cantare al San Carlo è stata una grande emozione, ed è lo è ancora adesso e
quando non canto al San Carlo mi manca e non vedo l’ora di tornare, il pubblico mi
vuole bene e quindi felice sempre di tornarci. Certo ci sono altri teatri che per la
storia incutono un po’ più di timore come quei grandi teatri come La Scala, Il
Metropolitan, il Covent Garden di Londra, Vienna ed altri… nei quali io sono stata e
però devo dire che il pubblico, se tu emozioni e che il canto passa emozione il
pubblico, il pubblico è tutto uguale, cioè reagisce in modo uguale, con applausi, con
consensi, con emozioni e quindi diciamo che la parola che unisce tutti i pubblici dei
teatri del mondo è l’emozione, emozionarsi. Ecco cosa vuole il pubblico quando
viene a sentire un’Opera.

La sua ecletticità l’ha portata ad indossare i panni della Tosca di Puccini;
Desdemona, l’ardua Abigaille di Giuseppe Verdi; Nedda di Ruggero
Leoncavallo; Santuzza, per la Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, e tante
altre, tra le quali Butterfly, tutte riportate nella sua biografia. C’è qualcuna tra
questi personaggi, che l’abbia fatta esclamare: Ma questa sono io?

Dunque, ho interpretato tantissimi ruoli e forse l’unico che non ho ancora cantato è
“Butterfly” e diciamo che la domanda “Ma questa sono proprio io?”, non me la sono
mai fatta anche perché cerco sempre di entrare con tutta me stessa nel personaggio,
quindi di identificarmi, non ho mai detto “Questa sono io?” No, non posso farlo…No,
ho sempre cercato di entrare nelle emozioni di questi personaggi, quindi che sono
svariati, che c’è la passione, l’amore, il dolore, la rabbia, quindi cerco sempre di
immedesimarmi e di entrare nel personaggio.

Lei che ha nel suo carnet tantissimi ruoli con innumerevoli sfaccettature vocali;
come concilia il ruolo di moglie e madre, adesso che orari e ritmi sono
piacevolmente cambiati?

Dunque fare la cantante lirica in carriera internazionale e fare la mamma, la moglie,
diciamo che è mooolto difficile, ma si può fare, si può fare se si ha accanto una
grande squadra e io l’ho avuta, c’è l’ho ancora: in primis mio marito; poi anche mia
madre, tutta la mia famiglia che mi hanno sempre aiutata e quindi se la famiglia è
unita si può conciliare; certo, magari abbiamo bisogno di riposare un po’ di più per
poter cantare al meglio e quindi si dedica meno tempo ai bambini, perché i bambini si
sa ti tolgono tante energie, ma con gioia ovviamente e devo dire che da due anni, no
da un anno, la mia famiglia non mi segue più, quindi viaggio da sola e devo dire che
mi fa soffrire certo, mi mancano tanto i miei bambini, ma è così, è una scelta che si è
fatti insieme, e io con mio marito e i miei bambini, loro lo sanno che la mamma
torna, e che va a cantare che poi torna a casa e quindi si riesce a conciliare tutto
questo. Ecco!

Recentemente è ritornata nella sua città d’origine per ricevere il premio G. B.
Basile, ideato dalla nostra Pro Loco che, come sottolineato dal Presidente
Mimmo Savino, per la prima volta è stato consegnato ad una personalità locale e
dove, nella Sala Consiliare, ha estasiato i presenti con due Arie celebri quali:
Vissi D’Arte e con O Mio Babbino Caro. Quali sentimenti ha portato via con sé?

Dunque questi due premi ricevuti il “Basile” e anche poi nella Sala Consiliare è stata
per me una grande emozione, devo dire che forse è stata l’emozione più forte che ho
provato perché essere premiati nella propria città con le persone che ti conoscono da
quando sei nata e ti hanno vista crescere, e devo dire che è una grande emozione, poi,
è stata la presentazione del signor Tobia Iodice, avevo le lacrime agli occhi devo dire:
ho fatto fatica a contenere le mie emozioni, non riuscivo a parlare, è stata una
bellissima serata, molto commovente, ancora se ci penso adesso e non so neanche
come ho fatto a cantare ma sono felice che sia stata una bellissima serata e che tutte le

persone abbiano apprezzato, sono molto orgogliosa, fiera. Di tutto ciò ringrazio il
Comune di Giugliano e soprattutto la Pro Loco per aver pensato a me.

Mi consenta un ultima domanda. I prossimi impegni la vedranno al Teatro
Regio di Torino, in Floria da Tosca; a Novembre sarà Amelia, in Un Ballo In
Maschera; poi a Dicembre, di nuovo Abigaille, in quel di Valencia al Palau De
Les Arts Reina Sofia. Il 2020 sarà ancora più impegnativo; difatti, sarà in giro
per il mondo tra Melbourne, Liegi, al Carlo Felice di Genova; poi in volo per
l’Australia ma a Sideny; ed ancora Montecarlo, Amsterdam e via cantando. Ma
nel futuro è ipotizzabile, per Anna Pirozzi, l’entrata in una sala di incisione? Ci
ha mai pensato?

Dunque questo anno 2020 mi porterà in nuovi teatri, nuovi paesi lontani, come
l’Australia e sono molto felice per questo e l’incisione è un pensiero che ho da tanto
tempo, ci penso da tempo, né parlerò anche con il mio agente, manager, è una cosa
che vorrei fare ecco… vorrei lasciare qualcosa, vorrei lasciare il ricordo della mia
voce, per quando andrò anch’io nell’Aldilà, e ci tengo appunto a lasciare qualcosa di
inciso e quindi ci sto pensando seriamente, spero che questo mio sogno si avveri
presto. Anche se comunque incisioni, dvd, ci sono già di opere intere come il
Trovatore fatto a Macerata, come i due Foscari alla Scala, il Macbeth a Palermo e
quindi di dvd in Opera ci sono, mi piacerebbe proprio incidere un Cd di arie
Verdiane, anche di canzoni napoletane, mi piacerebbe anche musica da camera, canti,
un Cd di canzoni, e di arie Opera, ecco questo è il mio sogno e spero si avveri presto!

Filippo di Nardo